Il livido è un segno che se ne va dopo pochi giorni ma, fatto dalla persona che dice di amarti, rimane per tutta la vita. Un po’ di fard può bastare a nascondere i segni ma l’unico vero rimedio è denunciare la violenza subita e parlarne a chi può davvero aiutarti!
Per capire meglio tutti gli aspetti di questa tematica vi consiglio la visione del film “Un giorno perfetto” di Ozpetek che mi ha molto aiutata a comprendere nel concreto come si manifesta il ciclo della violenza, soprattutto quella fisica e sessuale.
Ma non esistono solamente queste due forme che, tra l’altro, sono le più evidenti e più facilmente riconoscibili, esiste anche la violenza psicologica.
Ogni forma di violenza è una limitazione della libertà dell’altro.
“L’amore lascia posto alla libertà; non solo le lascia posto, la rafforza. Qualunque cosa distrugga la libertà non è amore.” (Osho)
Quando la nostra libertà viene “uccisa” non si tratta più di amore ma di violenza. La violenza non è mai accettabile e spesso non è facile riconoscerla, ce ne sono diverse forme ed alcune di queste sono più subdole ed insinuose.
Ma voglio prima definire con voi quali sono alcune delle caratteristiche delle persone che utilizzano modalità violente (in modi e con gradi diversi)
da dove nasce tutta la loro rabbia?
Facciamo un esempio:
Una persona ha un’immagine negativa di sé (bassa autostima) e positiva dell’altro (immagine idealizzata), in questo caso ricercherà la sua approvazione ma sentendosi comunque inferiore proverà un senso di rabbia che potrà manifestarsi attraverso svalutazioni o attraverso comportamenti aggressivi-passivi.
Altresì può avere un’ immagine negativa di sé e dell’altro, in questo caso la sfiducia nell’altro e la paura di essere rifiutati prevalgono sul forte bisogno di intimità, non verrà quindi richiesto al partner di soddisfare il proprio bisogno e si rimarrà in una situazione di frustrazione continua che genererà rabbia.
Un’altra causa è l’ angoscia dell’abbandono, tipica in persone con una problematica irrisolta di dipendenza affettiva (vedere articolo sulla dipendenza affettiva presente all’interno di questo sito nella sez. Articoli) che può manifestarsi a seguito della percezione di un cambiamento nella relazione vissuto come inaccettabile.
Se ad esempio uno dei partner trova un nuovo lavoro che comporta un impegno di tempo maggiore l’altro può sentirsi minacciato dalla minore disponibilità di tempo e di attenzioni.
La paura dell’abbandono, se non correttamente simbolizzata ovvero, se inconsapevole, conduce a diverse reazioni disfunzionali come ad esempio eccessiva rabbia, gelosia e ad una generale instabilità affettiva.
Volendo andare ancora più a fondo quello che rintracciamo alla base dei comportamenti violenti (e non solo) è un deficit nella capacità di mentalizzazione che si esprime con una difficoltà nel comprendere le emozioni, gli affetti, i desideri, i bisogni e le intenzioni sottostanti il comportamento proprio ed altrui. La mentalizzazione si trasmette a livello intergenerazionale, dal genitore al figlio anche attraverso le capacità di rispecchiamento del genitore.
Facciamo un esempio per capire di cosa stiamo parlando
Il bambino piange perchè è stanco ma è ancora troppo piccolo per varbalizzarlo, la madre ha imparato a capire quando il pianto è un segnale con il quale il bambino sta comunicando la sua stanchezza, glielo verbalizza e lo mette a dormire. Il bambino sente compreso il suo bisogno, smette di piangere e si addormenta. Grazie a questa capacità materna di rispecchiamento il bambino imparerà a differenziare quello stato di disagio che avvertiva ma che non poteva ancora nè comunicare nè sicuramente gli era consapevole e quando sarà più grande potrà dirsi, quando avverto questa sensazione vuol dire che ho sonno o sono stanco. Questa capacità aiuta il bambino a comprendere anche sentimenti e bisogni più complessi.
Solitamente le persone che presentano una scarsa capacità di mentalizzare sono quelle che hanno vissuto situazioni di maltrattamento o mancanza di sensibilità genitoriale. Il genitore spesso presenta questa stessa difficoltà (altrimenti non sarebbe egli stesso violento) e per far fronte a ciò il bambino ricorre all’utilizzo di alcune difese tra cui l’aggressività. La necessità di proteggersi da pensieri o comportamenti pericolosi del genitore può portare alla manifestazione di comportamenti aggressivi nei confronti di ogni relazione significativa o intima.
Cosa succede ad un genitore violento e come il deficit nel mentalizzare si esprime lasciando il posto all’aggressione?
Il genitore rientra a casa e il bambino è estremamente richiedente, piange e fa i capricci. L’adulto sente crescere la rabbia, è molto stanco ed ha avuto una “giornata no” a lavoro, è già arrabbiato e frustrato di suo. Il bambino non smette, il genitore risponde al capriccio, rifiutandolo o accontentandolo ma niente sembra farlo smettere. La rabbia prende il sopravvento, il genitore non si tiene più e gli da uno schiaffo. Di solito, come se non bastasse, gli si dice anche che la colpa è la sua perchè è lui che se l’è cercata.
Un genitore che mentalizza cosa fa invece in questo caso?
Sente la sua rabbia, sa che deriva da sue problematiche esterne (il lavoro, la sua insoddisfazione ecc.), tiene a mente che il figlio, in questo, non c’entra nulla e che magari anche lui sta vivendo le sue problematiche. Si avvicina al figlio e gli comunica che si sta molto arrabbiando per il suo comportamento perchè anche lei/lui è stanca/o ma cerca comunque di capire cosa c’è che non va per il figlio, qual’è il suo problema, cosa sta comunicando con quel capriccio. Può anche succedere che lo rimproveri, che gli urli contro perchè esasperata/o ma vedendo il figlio che si spaventa, di solito accade), gli chiede scusa, gli spiega il perchè del suo comportamento e gli chiede se sta meglio o se è ancora spaventato.
Infine vorrei esaminare con voi le diverse forme della violenza che possono esprimersi all’interno delle relazioni di coppia, cominciamo distinguendo le tipologie:
La VIOLENZA PSICOLOGICA, è connotata da diversi comportamenti come ad esempio la mortificazione della dignità del partner, gli insulti, le critiche, le umiliazioni, il controllo, gli inseguimenti e le diverse forme di minaccia (di fare male, di tagliare i fondi ecc.).
Le conseguenze della violenza psicologica nella vittima sono solitamente le seguenti:
- perdita della stima di sé
- insicurezza
- senso di vergogna
- assimilazione dei valori dell’aggressore
L’obiettivo del partner violento è quello di isolare la vittima, renderla sempre più sola aumentando quindi la sua impotenza e di conseguenza il livello di controllo che si può così avere su di lei/lui.
La VIOLENZA FISICA viene espressa sia attraverso una vera e propria aggressione ma anche attraverso minacce rivolte all’integrità fisica o attraverso più blande forme di contatto fisico (come ad esempio delle spinte).
Attraverso le minacce si cerca di ottenere un maggior controllo spaventando il/la partner
Per violenza fisica si intende: qualunque contatto fisico teso a rendere la vittima soggetta al controllo dell’aggressore.
La violenza si configura solitamente attraverso lo scandirsi di queste fasi, nella prima fase c’è una crescita della tensione, nella seconda c’è il maltrattamento (fisico o verbale) e nella terza, la cosiddetta “Luna di miele”, l’aggressore manifesta pentimento chiedendo scusa e dicendo che non si ripeterà più (…fino al prossimo episodio).
La VIOLENZA SESSUALE è una pratica sessuale imposta in modo coercitivo al di là della volontà della vittima.
- e’ un mezzo per umiliare la donna e/o per imporre il proprio potere su di lei
- la donna impara ad usare il sesso per barattare la propria salvezza
Infine la VIOLENZA ECONOMICA e’ esercitata attraverso la privazione o il controllo teso a limitare l’indipendenza economica della vittima, creando una situazione di impossibilità a lasciare il partner.
Se ci si riconosce vittime di violenza psicologica all’interno della relazione di coppia non bisogna esitare a richiedere la consulenza di un professionista Psicologo o Psicoterapeuta. Nei casi di violenza più grave contattare uno dei centri anti-violenza del proprio territorio.
Articolo a cura della Dott.ssa Irene Agostini
BIBLIOGRAFIA E LETTURE CONSIGLIATE
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Grad, M. (1998). La principessa che credeva nelle favole. Come liberarsi del proprio principe azzurro. Edizioni Piemme
Malagoli Togliatti, M. (2010). Tecniche di valutazione ed intervento nella famiglia. Roma: Ed. Kappa
Osho (2001). Con te e senza di te. Una visione delle relazioni umane. Oscar Mondadori
Watzalawick, P. (1971). Pragmatica della comunicazione umana
