IL CAPRICCIO E’ UN GRIDO D’AIUTO!
Il capriccio avviene all’interno di un contesto relazionale in cui sono presenti un bambino ed un adulto che si prende cura di lui, definito CAREGIVER (il genitore, l’insegnante, i nonni ecc.).
Attraverso il capriccio, apparentemente un’espressione senza senso, il bambino esprime un bisogno sottostante.
Difatti si manifesta su due piani, uno esplicito ed uno implicito. Attraverso il primo, il bambino ripete un’azione sciocca e banale (ad es. la richiesta incessante di ottenere un oggetto) che genera angoscia e rabbia nel genitore. Questa modalità, attraverso la quale il bambino vi sta facendo una richiesta, solitamente prende la forma seguente: VINCO IO o VINCI TU. E’ così che viene letta generalmente dal genitore, “se cedo al capriccio è il bambino a vincere ed io genitore perdo”, IO PERDO TU VINCI, oppure “se non cedo, e non cederò, sarò io a vincere” IO VINCO E TU PERDI. In realtà, se vi fermate a pensarci, non vi sentirete probabilmente soddisfatti in entrambe le risoluzioni che alla fine adotterete e più avanti ne approfondiremo il motivo e vedremo qual’è la posizione più corretta da assumere perchè farà stare meglio voi ed il bambino.
Sul piano implicito invece si articola il reale bisogno del bambino, che peró viene espresso attraverso il piano esplicito, ovvero attraverso la richiesta apparentemente insensata. Il bambino in realtà sta inviando una serie di indizi all’adulto cercando di far cogliere la necessità che il suo bisogno venga soddisfatto ma senza spesso riuscire nel suo intento. Il bambino spesso fallisce a causa del suo modo di esprimere il bisogno ovvero attraverso modalità irritanti e rabbiose.
Se il genitore si ferma esclusivamente al piano esplicito ed è alla richiesta concreta che risponde, il bisogno reale del bambino non sarà soddisfatto e proprio per questo il capriccio non cesserà di esistere. Ma se cerchiamo di metterci in una posizione di ascolto empatico forse riusciremo a comprendere cosa veramente nasconde quella apparentemente sciocca richiesta e riuscendo a soddisfare il bisogno profondo del bambino il capriccio non sussiste più perchè la reale necessità è stata soddisfatta. E’ in quest’ultima modalità relazionale che entrambi i partecipanti alla relazione saranno nella posizione VINCO IO e VINCI TU, entrambi percepiranno la loro efficacia!
PILLOLE DI PSICOLOGIA
Probabilmente alcuni di voi si saranno chiesti cosa significa ASCOLTARE EMPATICAMENTE!
L’empatia è la capacità di comprendere ciò che l’altro sta provando, in termini di emozioni e sentimenti, o di mettersi nei suoi panni “come se” fossimo l’altro. L’ascolto empatico consiste proprio nell’ascoltare l’altro chiedendoci come noi ci sentiremmo in quella stessa situazione o comunque cercando di cogliere cosa sta sentendo e sta provando a comunicarci in quel dato momento.
FACCIAMO DEGLI ESEMPI
E’ da poco arrivato un fratellino o una sorellina e vostro figlio (il primogenito) sembra essere ancora più capriccioso del solito, questo vi rende sfiniti e quindi a volte, anche per stanchezza o nel tentativo di far cessare il capriccio, cedete alle sue richieste. Questo vi fa cadere nella modalità IO PERDO e TU VINCI ed è spesso in questi casi che definirete il vostro bambino VIZIATO perchè è lui che non si accontenta mai e voi siete costretti a “dargliela vinta”. Se ascoltate il vostro cuore potete sentire che in realtà non siete soddisfatti nessuno dei due (il bambino sicuramente ve lo esprimerà cambiando l’oggetto del capriccio e cominciando nuovamente con le sue richieste). Difatti, le richieste sicuramente non cesseranno, se non sul momento, e tenderanno addirittura ad aumentare. Questo accade, come abbiamo detto prima, proprio perchè il bambino, che voi credete di aver fatto vincere, ha soddisfatto il suo reale bisogno (ovvero quello di dare voce alla sua paura ed alla sua gelosia).
Cominciamo a pensare che un bambino fino ad una certa età non sarà in grado di dirvi “sono geloso e arrabbiato perchè sento che mi stanno portando via l’amore di mamma e papà”!
Ma se proviamo a metterci in ascolto empatico e proviamo a pensare a come noi ci sentiremmo se nel nostro nucleo familiare, nel quale fino a quel momento eravamo gli unici a ricevere tutto l’amore disponibile, arrivasse improvvisamente uno sconosciuto che attira tutte le attenzioni dei miei genitori e che proprio per il suo essere ancora più piccolo ha bisogno di moltissime cure, forse possiamo sentire che la gelosia che nostro figlio sta provando non è del tutto insensata.
E se provassimo a comunicare semplicemente questo al nostro bambino? Quello che potremmo dirgli sarebbe: “Capisco che per te è un momento molto difficile e che puoi avere paura che la mamma ed il papà non ti vorranno più bene come prima perchè ora è arrivato il fratellino ma non è così, noi ti amiamo sempre tantissimo!”
NON PENSATE CHE VOSTRO FIGLIO NON VI CAPISCA!
Il bambino anche molto piccolo, seppure non in grado di comprendere il significato delle parole che usate, percepisce la tonalità emotiva con cui gli comunicate le cose ed una modalità calda, rassicurante ed accentante placherà in ogni caso la sua paura.
Riflettendo, come se fossimo degli specchi, al nostro bambino quello che sta provando in quel momento non solo lo faremo sentire compreso ma anche meno spaventato, sia da quello che sta provando perchè è un sentimento che viene accettato e non rifiutato sia perchè sentirà la nostra vicinanza ed il nostro amore.
Se invece il capriccio emerge sotto forma di lamentela fisica (ad es: mal di testa, mal di pancia ecc.) durante, ad esempio, i momenti in cui al bambino viene richiesto di studiare dobbiamo cercare di comprendere se si tratta di stanchezza, in questo caso gli rimanderemo proprio questo, dicendo: “Capisco che ti senti stanco ma dobbiamo continuare a studiare”, se invece riteniamo che il bambino sia effettivamente sovraccarico potremmo accettare la sua richiesta o facendogli fare una pausa o decidendo di non fargli terminare il lavoro. Queste risposte possono derivare anche da un problema più importante come quello legato ad eventuali difficoltà nella lettura, nella comprensione, nel calcolo ecc. che devono essere accettate ed il comportamento del bambino visto come un segnale di allarme che non va assolutamente sottovalutato.
Come potete vedere dietro ad ogni capriccio possono esserci numerosi elementi che lo scatenano, questi sono soggettivi, ovvero variano in relazione alla diversità dei bisogni propri di ogni bambino e contestuali quindi legati alle specifiche situzioni che ogni bambino si trova a vivere in quel momento specifico (inserimento a scuola, nascita dei fratelli, maggiore contatto con i coetanei, separazione dei genitori ecc.).
Vostro figlio, in questo caso di un’età maggiore, comincia a fare i capricci perché ad esempio vuole avere maggiori libertà come un suo compagno di scuola. In questo caso potrebbe esserci un bisogno di maggiore autonomia e fiducia o la necessità di non sentirsi esclusi da un gruppo (quindi il bisogno di accettazione). Ricordatevi che le regole devono essere sempre spiegate e quindi potrete per esempio, parlando con vostro figlio, individuare la reale necessità sottostante, dargli un nome e spiegare perché non siete d’accordo nel concedere le stesse libertà che qualcun altro invece può avere. Le regole devono avere la funzione di contenimento e protezione verso il bambino o il ragazzo e non devono contenere un messaggio che svaluta la sua persona come ad esempio “non sei sufficientemente degno di fiducia”. Al contrario potremmo metterci in gioco noi per primi spiegando che possiamo provare paura o timore ed è per questo che limitiamo le loro esigenze ma, ascoltate e riconoscete i loro bisogni di autonomia, fiducia e valutazione positiva!
Infine, vostro figlio si trova “costretto” a fare uno sport come ad esempio il nuoto (situzione molto frequente perché ci viene detto che gli fa bene) o uno sport non scelto da lui ma da voi. Ad un certo punto il bambino comincia a dirvi che sta male, che non vuole andarci o che ha paura che gli accada qualcosa (nel caso della piscina di annegare). Se ci rendiamo conto che queste manifestazioni derivano dal fatto che quello sport non gli piace, assecondiamolo, accettiamolo come persona diversa da noi con gusti e tendenze uniche. Fermiamoci a parlare con lui, più la persona o il bambino si sente ascoltata e più facilmente si aprirà a voi confidandovi il reale problema.
“Beato chi può dire a se stesso: io ho asciugato una lacrima.” (Cit. Giuseppe Giusti)
Tratto dall’incontro formativo “Sos capricci” del Dott. Mario Meringolo
Come riconoscere la dipendenza affettiva:
-vivi i momenti di solitudine come qualcosa di estremamente angosciante?
-non riesci a stare da solo, al contrario hai bisogno di essere sempre in coppia?
-le tue angosce devono essere sedate da qualcuno che ti è vicino perché da solo non riesci a tranquillizzarti?
-cambi frequentemente partners perché ti piace vivere la fase dell’innamoramento e vivi come noioso il periodo in cui questa si esaurisce?
-ti ritrovi sempre con accanto la donna o l’uomo sbagliato?
-senti di dare troppo nelle relazioni e non senti di ricevere altrettanto?
COSTRUTTI TEORICI
Vediamo innanzitutto di definire i costrutti che andremo a prendere in esame e come si influenzano reciprocamente:
LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
È stata elaborata da John Bowlby, psicoanalista Britannico, a seguito di osservazioni condotte, presso un centro per bambini disadattati, sul comportamento infantile a seguito di storie di deprivazione ed istituzionalizzazione. L’attaccamento è un sistema motivazionale innato che svolge la funzione di garantire la sopravvivenza fisica ed emotiva del bambino nei suoi primi anni di vita. Il piccolo ricerca protezione dalla figura di attaccamento (caregiver) nelle situazioni di pericolo, di dolore, di solitudine o di stress. Il bisogno di attaccamento, per dirlo con le parole di Bowlby, accompagna l’individuo “dalla culla alla tomba” ed è profondamente influenzato dalla qualità dalle prime relazioni che instaura con le figure che si prendono cura di lui. Il termine caregiver e la funzione, ad esso collegato, di base sicura sono stati introdotti da Mary Ainsworth e John Bowlby. Caregiver indica colui che si prende cura del bambino e la base sicura viene così descritta “[…] la caratteristica più importante dell’essere genitori: fornire una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato”.
Sono stati inoltre identificati dei comportamenti di attaccamento (sorriso, pianto, suzione e l’aggrapparsi), ovvero, comportamenti che il bambino utilizza per assicurarsi la vicinanza e la protezione del caregiver in situazioni di pericolo, sono anch’essi su base innata ed hanno la funzione di garantirgli la sopravvivenza. Sulla base della disponibilità, o non disponibilità, delle figure criterio (fda) a fornire protezione, aiuto e conforto il bambino svilupperà forme di attaccamento sicuro o insicuro. Per determinare in modo più specifico lo stile di attaccamento che il bambino ha sviluppato nei confronti della fda (la madre), Mary Ainsworth, ha elaborato una situazione sperimentale, la strange situation, per persone dai 18 ai 24 mesi osservati in brevi intervalli di separazione e riunione con la stessa. Sono stati individuati quattro modelli sulla base delle reazioni del bambino:
attaccamento sicuro (B), i soggetti protestano alla separazione, cercano la vicinanza e sono confortati al momento del ricongiungimento con la fda, questo comportamento denota autostima e fiducia nell’adulto di riferimento.
Attaccamento insicuro-evitante (A), al momento della separazione con la fda, questi bambini sembrano indifferenti alla separazione mostrando pochi segni di dispiacere o protesta, al momento della riunione con la madre la ignorano denotando un distacco comportamentale.
Attaccamento insicuro ambivalente/resistente (C), i soggetti alla separazione con la fda sono fortemente angosciati e inconsolabili alla riunione, il loro comportamento denota una non totale fiducia nei confronti della madre.
Infine l’attaccamento insicuro/disorganizzato (D) è quello che il bambino sviluppa in risposta a relazioni con fda connotate da abusi, maltrattamenti o a causa di lutti intra familiari non risolti. Il bambino mostra, sia alla separazione che alla riunione, un crollo delle strategie comportamentali attraverso comportamenti confusi ed incoerenti come il “freezing” e i movimenti stereotipati. Questo accade perché il bambino è al contempo bisognoso di ricevere sicurezza attraverso la vicinanza con la fda e spaventato dalla stessa per l’imprevedibilità delle sue risposte.
Attraverso le interazioni ripetute con le figure di attaccamento e la qualità delle relazioni con le stesse nei primi anni di vita, si svilupperanno delle mappe, degli schemi cognitivi, definiti da Bowlby Modelli Operativi Interni (MOI), su come funzionano le relazioni, che cosa ci si può aspettare da esse e sull’immagine di sé e dell’altro in termini di amabilità o non amabilità. Attraverso queste rappresentazioni mentali, che costituiscono la matrice delle relazioni future, il bambino regola il proprio comportamento. Sono tendenzialmente stabili nel tempo ma mantengono un certo grado di flessibilità, dando così l’opportunità a successive relazioni, basate sulla sicurezza e sulla fiducia, di modificarli e di acquisire un attaccamento sicuro. Le ricerche hanno messo in evidenza una tendenza all’attaccamento sicuro, pertanto, è sufficiente anche solo una relazione stabile e rassicurante con una figura significativa, che può essere esterna o interna alla famiglia, per neutralizzare l’insicurezza scaturita dalle relazioni disfunzionali. Questo risulta fondamentale nel nostro lavoro in quanto la relazione terapeutica potrà assumere un valore riparativo per il nostro cliente anche in età adulta.
Si parla di trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento in quanto, da diverse ricerche, è emerso un accordo che va dal 70 all’85% tra l’attaccamento del genitore, valutato attraverso l’intervista semi-strutturata Adult Attachment Interview (AAI) e quello del bambino rilevato attraverso la Strange Situation (SS). Diversi sono gli autori e le ipotesi da loro formulate al fine di spiegare come questo possa avvenire. Bowlby, ad esempio, riteneva che la responsività sensibile, ovvero la maggiore o minore sensibilità e tempestività con cui un genitore risponde ai bisogni del proprio bambino, in un’ottica di causalità circolare, non solo è predittiva della tipologia di attaccamento del figlio ma è profondamente influenzata dalla qualità delle cure che egli ha ricevuto durante la sua infanzia. Sembra inoltre che entrambi i genitori trasmettano il proprio stile di attaccamento ma non risulta ancora chiaro in che modo questi si mescolino così da formare lo stile di attaccamento prevalente nel bambino. Infine, è importante sottolineare che un 25% circa dei figli sviluppano uno stile di attaccamento indipendente da quello genitoriale. Nel prossimo capitolo vedremo esposte ulteriori ipotesi al fine di comprendere quali variabili soggettive e di relazione entrano in gioco e concorrono a trasmettere, da una generazione a quella successiva, la salute o il disagio psichico.
LA TEORIA DELLA MENTE
Riguarda lo sviluppo della capacità di comprendere se stessi e gli altri in termini di stati mentali quali, desideri, credenze, intenzioni e pensieri e di prevedere/spiegare il comportamento proprio e altrui sulla base di queste inferenze (sono sinonimi mentalizzazione e funzione riflessiva).
Il compito della falsa credenza risulta essere particolarmente importante in quanto, se risolto correttamente, indica la presenza della capacità di attribuire agli altri credenze diverse dalle proprie. Al bambino viene raccontata una storia in cui un personaggio mette un oggetto in un determinato posto e va via, subito dopo ne entra un secondo che prende l’oggetto nascosto dal primo, senza che questo lo sappia, cambiandogli collocazione e andando via. Il primo personaggio ritorna annunciando che prenderà l’oggetto che aveva nascosto ed a questo punto viene chiesto al bambino dove secondo lui andrà a cercarlo. La risposta corretta è che lo cercherà dove l’ha lasciato e per rispondere in questo modo il bambino deve rendersi conto che il protagonista della storia ha una rappresentazione della realtà diversa dallo stato di cose effettivo (che corrisponde in questo caso alla rappresentazione del bambino); egli deve inoltre prevedere che il comportamento del protagonista sarà determinato dalla sua credenza piuttosto che dallo stato di cose effettivo.
L’esperimento condotto ha dimostrato che bambini di quattro anni sono tendenzialmente in grado di risolvere il compito della falsa credenza e non ancora all’età di due/tre anni. Dalle ricerche è emerso difatti che lo sviluppo della teoria delle mente avviene tra i tre ed i cinque anni in bambini con sviluppo tipico. Al contrario, all’origine dei disturbi tipici dello spettro autistico come la difficoltà nel gioco di finzione, i deficit comunicativi e nel ragionamento psicologico, è stata accertata la grave compromissione o la grave mancanza della teoria della mente, non invece riscontrata nel ritardo specifico di linguaggio, nella sindrome di Down o nel ritardo mentale.
AUTOREGOLAZIONE E REGOLAZIONE INTERATTIVA
Facendo riferimento al lavoro condotto da Beebe e Lachmann, attraverso un modello integrato tra infant research e psicoanalisi, è emerso che “le interazioni tra madre e bambino vengono co-costruite da entrambi attraverso il volto, la voce e l’orientamento spaziale. Benché entrambi i partner concorrano all’organizzazione dello scambio in un dato momento, il loro contributo non è necessariamente simile o uguale. La ricerca sulla prima infanzia mostra in che modo la mente si organizza nel corso dell’interazione.”
I processi di autoregolazione e regolazione interattiva sono intrinsecamente collegati tra loro, sono reciproci e simultanei, per cui l’uno modifica ed influenza il verificarsi dell’altro. Entrambi concorrono alla costruzione delle relazioni primarie. Madre e bambino coordinano continuamente i loro ritmi comportamentali, questa coordinazione è alla base del comportamento sociale. Saper instaurare e mantenere le relazioni deriva infatti dalla capacità di regolare il proprio stato interno in entrambi i partecipanti.
Per autoregolazione si intende la capacità nell’adulto di accedere, di valutare e di utilizzare i propri stati interni, nel bambino comprende la capacità di mantenere lo stato di vigilanza, di inibire l’espressione comportamentale e di controllare il livello di attivazione. L’autoregolazione è strettamente interconnessa alla capacità di prestare attenzione e di entrare in rapporto con l’ambiente.
La regolazione interattiva è un processo bidirezionale, co-costruito e reciproco, “il flusso delle risposte tra i partner scorre in entrambe le direzioni, vale a dire che il comportamento di ogni partner è contingente, è influenzato da quello dell’altro, cioè può essere previsto in base a quello dell’altro.” La prevedibilità delle risposte crea un sistema di norme condivise che regola il comportamento di entrambi i partner e che viene definito “principio di regolazione attesa”. Al polo opposto troviamo invece il “principio di rottura e riparazione” che identifica i momenti di violazione delle aspettative durante l’interazione genitore-bambino ed i conseguenti tentativi di risoluzione. Il concetto di rottura viene usato per indicare diversi livelli di gravità ma è stato dimostrato che le interazioni tra madre e bambino oscillano continuamente fra gradi maggiori e minori di coordinazione. Ciò su cui è invece fondamentale porre l’accento è il concetto di riparazione, introdotto da Tronik, il quale sostiene che la possibilità di riparare ad un’interazione non perfettamente corrispondente aumenti il senso di efficacia del bambino, lo sviluppo delle capacità di controllo degli eventi e l’aspettativa di poter partecipare, insieme al partner, al processo ripartivo. “Il principio di rottura e riparazione organizza esperienze di competenza, coping, riparazione e speranza, giacchè rappresentale interazioni come riparabili e sviluppa l’aspettativa che sia possibile mantenere un rapporto con il partner anche in presenza di tensioni e incompatibilità.” Da queste parole si evince l’importanza che la possibilità di riparazione assume nel contesto relazionale, non solo quello infantile ma quello che ci accompagnerà per tutto l’arco di vita.
CONGRUENZA ED INCONGRUENZA NEL PARADIGMA DELL’APPROCCIO CENTRATO SULLA PERSONA
Con il termine congruenza si intende la capacità di essere, all’interno di una relazione, profondamente e liberamente se stessi. Per dirlo con le parole di Rogers “(…)significa che devo essere cosciente dei miei propri sentimenti, per quanto è possibile, piuttosto che presentare l’apparenza esterna di un atteggiamento, mentre in realtà sento un’altra attitudine a un livello più profondo o inconscio.” L’incongruenza, al contrario, nasce dal divario che viene a crearsi, durante l’infanzia, tra il bisogno di soddisfacimento dei propri bisogni e l’introiezione di criteri esterni di valutazione derivanti dalle figure genitoriali, spesso in forma di costrutti rigidi. Per mantenere l’amore genitoriale il bambino è disposto a rinunciare ai propri bisogni e quindi alla propria saggezza organismica distorcendo e negando le esperienze che non sono in armonia con la struttura del sé. La perdita di contatto con delle parti di sé e l’introiezione di valori esterni non consentono all’individuo di essere pienamente se stesso. Per Rogers la salute mentale è rappresentata dallo stato di congruenza dell’individuo ed al contrario, il disagio psichico da quello di incongruenza. Inizialmente il bambino ha una percezione dell’esperienza totale e non differenziata che gradualmente si diversifica e una parte dell’esperienza di essere e di funzionare viene riconosciuta come “Io”. A queste nuove competenze percettive riguardo al sé si aggiungono quelle relative al mondo esterno ed alle persone con cui il bambino instaura relazioni significative e da cui dipende per il soddisfacimento dei propri bisogni. Queste percezioni sono valutate attraverso la dicotomia positivo/negativo ed orientano il comportamento accettando come positive tutte quelle esperienze che favoriscono la crescita personale e, al contrario, rifiutando quelle che la ostacolano. Alla base della psicopatologia, per Rogers, si rintraccia un livello sempre maggiore di incongruenza tra i propri criteri organismici di valutazione e quelli introiettati dall’esterno che non consentono all’individuo di soddisfare i suoi veri bisogni. Ciò che il genitore può fare perché questo non avvenga è accettare incondizionatamente la valutazione organismica del bambino, che non corrisponde all’accettazione di ogni suo comportamento, che creerebbe l’instaurarsi di ulteriori problemi. Il messaggio che deve passare è che non lo stiamo rifiutando come persona in quanto un comportamento non riflette l’essenza dell’individuo difatti è diverso dire “hai avuto un comportamento sbagliato” dal “sei sbagliato”! Questo atteggiamento di base consente al bambino di non ricevere minacce all’immagine di sé e di sentirsi libero di essere se stesso, sviluppando un sé sano e senza incongruenze. Una fiaba eschimese presente nel libro “Relazioni ferite” di M. Anfossi e M. L. Verlato rappresenta esattamente l’atteggiamento di cui stiamo parlando, ne riporto uno stralcio:
B: Mamma, mi vuoi bene?
M: Certo, tesoro mio.
B: Quanto?
M: Ti voglio bene più di quanto il corvo ne vuole al suo gioiello, più di quanto il cane ne vuole alla sua coda, più di quanto la balena ne vuole al suo spruzzo.
………..
B: E cosa succede mamma se io porto le uova, le nostre uova di pernice, e sto attenta e cerco di camminare adagio, ma cado e rompo le uova?
M: Non sarò di certo contenta, ma ti vorrò bene lo stesso.
……….
B: E se non ritorno a casa e ululo con i lupi e dormo in una grotta?
M: Allora sarò molto triste, tesoro. Ma ti vorrò bene lo stesso.
……..
B: E se mi trasformo in un orso polare, l’orso più cattivo che hai mai visto, con i denti bianchi e aguzzi e ti rincorro fino alla tenda e tu urli?
M: Ci rimarrò male e sarò molto spaventata. Ma lo stesso, dentro l’orso, sarai sempre tu e io ti vorrò sempre bene. Ti voglio bene ora e te ne vorrò per sempre perché tu sei il mio tesoro.
LA TRASMISSIONE INTERGENERAZIONALE DEL DISAGIO PSICHICO
“Una generazione contribuisce a strutturare in senso psicologico la generazione successiva, trasmettendo costrutti, modalità relazionali, stili di attaccamento/accudimento ed emozioni ricorrenti che si pongono da sfondo alla trama che ogni individuo definirà con la sua unica e singola storia di vita”.
I costrutti, le modalità relazionali, gli stili di attaccamento e le emozioni prevalenti trasmesse all’interno del sistema familiare danno forma alle nostre future modalità di entrare in relazione con l’altro e con il mondo sia in senso funzionale che disfunzionale e risulta per questo importante divenirne consapevoli così da mantenere e valorizzare gli aspetti adattivi e, al contrario, da rifiutare quelli disadattivi. Attraverso le ricerche condotte da Main e Fonagy è stato messo in luce il ruolo fondamentale della funzione riflessiva come possibilità di interrompere la trasmissione intergenerazionale dell’insicurezza dell’attaccamento.
L’attaccamento, la funzione riflessiva, la costruzione del sé e le capacità di autoregolazione e di regolazione interattiva dipendono strettamente l’una dall’altra in un processo di influenza reciproca e circolare.
La qualità dell’attaccamento risulta difatti dipendere dalla capacità genitoriale di comprendere le proprie esperienze infantili in termini di stati mentali e l’organizzazione del sé e della regolazione affettiva sono acquisite nelle prime relazioni di attaccamento. Lo sviluppo del sé psicologico non è un dato genetico ma si evolve attraverso l’interazione con menti “che siano benevole, riflessive e sufficientemente in sintonia”.
La mentalizzazione è un processo che ha inizio con la scoperta degli affetti attraverso le prime relazioni oggettuali e la regolazione degli stessi è un precursore della costruzione di una teoria della mente, una volta che la capacità di mentalizzare è stata acquisita la regolazione affettiva si trasforma in relazione ad essa ed è utilizzata non solo per la modulazione degli stati affettivi ma per la regolazione del sé. In quest’ottica, la comprensione della mentalizzazione, condivide con la teoria dell’attaccamento di Bowlby la funzione evolutiva, in quanto le prime relazioni oggettuali devono fornire un ambiente nel quale sia possibile una comprensione degli stati mentali propri ed altrui al fine di favorire lo sviluppo pieno e sicuro della mentalizzazione. Difatti, un genitore sicuro, quando il proprio bambino si trova in una situazione di difficoltà, esercita un funzione tranquillizzante in cui può combinare il rispecchiamento dell’emozione con una espressione della stessa compatibile con lo stato emotivo del bambino. Questa capacità è paragonabile con la capacità della madre, descritta da Bion, di “contenere”, rielaborare e restituire lo stato affettivo del bambino con la funzione di modulare sentimenti ingestibili e intollerabili per il piccolo.
Gli studi hanno dimostrato una relazione empirica tra la funzione riflessiva genitoriale, la capacità di mentalizzare del bambino e la sua sicurezza in quanto, lo sviluppo della teoria della mente, avviene all’interno di un processo intersoggettivo tra il bambino ed il caregiver. Nell’acquisizione delle capacità di autoregolazione e di regolazione interattiva sembra essere implicato il meccanismo di scoperta della contingenza, identificato da Watson e che consiste, da un lato, nella capacità del bambino di controllare le manifestazioni di rispecchiamento dei genitori, contribuendo alla costruzione del sé come agente regolatore e, dall’altro, con lo stabilirsi di una rappresentazione degli stati affettivi, la possibilità di regolare le proprie emozioni e di controllare gli impulsi.
Un’ulteriore ed importante ruolo nella trasmissione intergenerazionale del disagio psichico è svolto, secondo Fonagy e Steele, dai processi difensivi dei genitori nei confronti delle proprie esperienze emozionali negative. Quando il genitore si trova a dover affrontare l’espressione affettiva negativa del proprio bambino il suo stile di attaccamento influenza la qualità di rispecchiamento e della restituzione delle emozioni. Un genitore sicuro, riconosce e rispecchia adeguatamente il sentimento del figlio, trasmettendo capacità di contenimento e di coping, un genitore ansioso, lo riconosce ma lo riflette con eccessiva intensità e senza trasmettere capacità di contenimento e coping, infine, un genitore evitante non riconosce e non rispecchia adeguatamente gli affetti del bambino e trasmette capacità di coping non adattive. Una volta apprese queste modalità di far fronte ad emozioni ed esperienze il bambino tenderà a ripeterle anche in età e ruoli differenti fino a quando e se potrà fare esperienza di relazioni riparative e correttive o con figure che assumono una certa significatività o all’interno della relazione psicoterapeutica.
Riprendendo le parole di Bowlby “l’adulto sano è una persona sicura: ha un’immagine di sé realisticamente positiva, accetta i propri sentimenti senza negarli o distorcerli difensivamente, valorizza i bisogni di attaccamento, ha fiducia di base nel mondo e negli altri e sente che di fronte ad una sua richiesta di aiuto ci sarà qualcuno disposto a soddisfarla; sa riconoscere su chi può contare e su chi no in caso di necessità.”
Da queste parole emerge l’importanza che tutti i processi fin qui descritti rivestono nello sviluppo psichico sia sano che patologico e, proprio per questo motivo, il forte valore preventivo racchiuso nella conoscenza di questi complessi meccanismi al fine di attuare progetti che possano fermare il perpetuarsi di cicli disfunzionali potendo così trasformare “una cicatrice in un ricamo”.
Nell’ottica dell’approccio centrato sulla persona, la trasmissione intergenerazionale dell’incongruenza, avviene quando un genitore che ha vissuto in un clima di accettazione parziale e condizionata dalle valutazione delle proprie figure-criterio ripropone inconsapevolmente, nelle relazioni con i figli, le stesse modalità relazionali fonte di ulteriore sofferenza. Vivere in un clima così connotato insegna al bambino ad escludere dal proprio mondo fenomenico alcune esperienze, evitandole, non simbolizzandole correttamente o non simbolizzandole affatto. Questa modalità viene riprodotta nei confronti dei figli che da un genitore incongruente “imparano che alcune esperienze non sono buone, che alcuni sentimenti non si devono provare e alcuni pensieri non si possono pensare. E guarda caso le esperienze percepite non buone sono proprio le stesse evitate o distorte dai propri genitori, in una cascata di aree di incongruenza, causa delle stesse ferite relazionali in padri e figli!”
Se un genitore reputa minacciosi, per la coerenza e l’integrità del suo fragile e rigido sé, alcuni sentimenti ed alcune esperienze non sarà in grado di riconoscere e rispecchiare le stesse nella relazione con il figlio. In base a quali vissuti sono ritenuti minacciosi e a quale modalità la fda ha imparato ad usare per proteggersi “si creeranno cicli di solitudine ed evitamento, cicli di dipendenza o ben più dolorosi e dannosi cicli di discontinuità e confusione intra e interpersonale.”
Così come avviene per l’incongruenza, anche la congruenza viene trasmessa da una generazione all’altra. Un genitore congruente è in grado di accettare incondizionatamente un figlio perché non si sente minacciato dai suoi sentimenti e dai suoi bisogni, come abbiamo detto precedentemente questo atteggiamento non implica l’accettazione di ogni suo comportamento. In base a come il piccolo si sente “guardato” ed è definito dalle figure-criterio sviluppa un’immagine di sé come buono e amabile o cattivo e non amabile. Attraverso la relazione con un adulto congruente il bambino sviluppa costrutti riguardo agli altri, a se stesso ed alle relazioni caratterizzate da flessibilità e funzionalità, che possono quindi essere modificati. L’autostima è più realistica e le esperienze vengono simbolizzate correttamente grazie all’empatia con cui il genitore risponde ai bisogni ed alle emozioni del figlio. Se il genitore non sente di doversi difendere anche il bambino impara a dare dignità a ciò che vive e sente! Fare esperienza del poter stare in una relazione accettante ed empatica getta le basi per legami futuri caratterizzati da gratificazione e sicurezza e per vivere accompagnati da una fiducia di base verso il mondo e gli altri.
LO SVILUPPO DELLA METACOGNIZIONE COME POSSIBILITÀ RIPARATIVA NEL PROCESSO PSICOTERAPEUTICO
“La metacognizione è quell’abilità mentale che permette di pensare i propri pensieri e di interagire con gli altri anche sulla base delle informazioni causali derivanti dalla propria e altrui sfera interiore.”
È composta da tre dimensioni, la prima è la lettura autobiografica, sovrapponibile alla congruenza rogersiana, intesa come la capacità di contatto e di riconoscimento delle proprie emozioni; la seconda viene definita decentramento e sta ad indicare il riconoscimento delle emozioni altrui ed infine la terza è la mastery ovvero la valorizzazione della dimensione causale delle emozioni e la capacità di contenerle attraverso l’autoregolazione. La metacognizione racchiude in sé tutte le competenze che precedentemente abbiamo descritto e, attraverso le ricerche della Main, le differenze nei legami di attaccamento sono state messe in relazione con le capacità metacognitive del genitore. Per verificare sperimentalmente questa ipotesi Fonagy e collaboratori hanno elaborato una scala “autoriflessiva” volta a valutare il “potere metacognitivo” attraverso le informazioni contenute nell’Adult Attachment Interview”. Da questa ricerca è emersa una forte correlazione tra sicurezza dell’attaccamento e capacità metacognitive.
Lo sviluppo di queste capacità ha un forte valore protettivo nei confronti della trasmissione intergenerazionale del disagio psichico ed è per questo che risulta essere una componente fondamentale del processo psicoterapeutico. Nel vocabolario rogersiano si parla di simbolizzazione delle esperienze intesa come la capacità di essere consapevoli della soddisfazione dei propri bisogni. Ma a determinare il livello di congruenza o di incongruenza subentrano anche la capacità di riconoscimento e consapevolezza delle emozioni. Per Rogers questi due elementi sono fortemente collegati tra loro in quanto, per far si che un bisogno venga soddisfatto, dev’essere accompagnato e sostenuto da un’emozione.
Il cliente potrà, all’interno di un contesto facilitante, ovvero caratterizzato dalle condizioni necessarie e sufficienti postulate da Rogers, riappropriarsi della capacità di contatto con quei bisogni e quelle emozioni negate o distorte a causa delle introiezioni di valori esterni a discapito di un’esistenza piena e libera tesa all’autorealizzazione.
Potrà inoltre rielaborare ed integrare tutte quelle esperienze dolorose che hanno caratterizzato la sua esistenza e, attraverso lo sviluppo della funzione riflessiva, ridare un nuovo senso alla propria storia di attaccamento. La relazione con il terapeuta può essere utilizzata come “base sicura” potendo sperimentare un attaccamento con una persona congruente che è capace di condividere emozioni, affetti e capacità riflessive. Non solo la relazione terapeutica richiama gli aspetti fondamentali di un genitore congruente ma l’alleanza che si crea tra il cliente ed il terapeuta rappresenta un vero e proprio legame di attaccamento in cui emerge la possibilità di sperimentare un nuovo e più funzionale modo di stare in relazione con l’altro. Secondo Siegel un ottimo indicatore dell’alleanza terapeutica è proprio la condivisione di stati mentali nell’it et nunc della seduta proprio come la capacità di sintonizzazione del genitore risulta essere un predittore della sicurezza dell’attaccamento del bambino. Risulta però importante attuare strategie diverse tenendo conto del diverso stile di attaccamento dei nostri clienti per non riproporre nella relazione le stesse modalità che hanno generato una grande sofferenza nel suo passato e, al contrario, per cogliere e rimandare nel qui ed ora proprio le modalità disfunzionali che hanno caratterizzato le sue relazioni passate e presenti. Attraverso il contatto con l’esperienza interiore che si genera momento per momento, con le emozioni e con le peculiari modalità che ogni individuo utilizza per esprimerle assieme ad un processo riflessivo l’efficacia della terapia aumenta significativamente in quanto, attraverso questo processo, il cliente riesce a ricostruire il significato delle sue esperienze emozionali. Il “focusing” è una tecnica utilizzata per facilitare il contatto del cliente con la propria esperienza interiore e che consiste nell’immaginare uno spazio psicologico interno in cui sentire ciò che prova al fine di esplorare e poi simbolizzare tutti quegli affetti confusi e dolorosi. Questa tecnica di focalizzazione sembra essere particolarmente utile nei casi di conflitto tra diverse parti di sé e per simbolizzare e reintegrare esperienze traumatiche; è necessario che il colloquio assuma un ritmo che consenta tempo per l’ascolto ed il contatto con sé. Un altro strumento, molto prezioso nella terapia rogersiana, è la risposta a specchio o a riflesso che riprende diversi aspetti della comunicazione del cliente, cognitivi, percettivi ed affettivi riproponendoli in forma chiara e fedele. Non solo così facendo si comunica di essere in ascolto ma vengono rimandati aspetti diversi di una determinata esperienza che integrati ne riflettono la complessità.
Attraverso la psicoterapia ed una relazione caratterizzata da congruenza, autenticità, empatia ed accettazione incondizionata l’obiettivo è quello di giungere ad una modificazione costruttiva della personalità e al ripristino della naturale tendenza all’attualizzazione propria di ogni individuo.
A cura della Dott.ssa Irene Agostini
Innanzitutto distinguiamo tra cefalea tensiva ed emicrania,
La CEFALEA è caratterizzata da un dolore di tipo costrittivo e NON pulsante, la severità del dolore è lieve o media e può inibire le attività quotidiane ma non impedirle. La localizzazione del dolore è più frequentemente bilaterale (solo nel 5-10% dei casi è unilaterale). Gli sforzi fisici non aggravano il dolore e la presenza di nausea o vomito esclude la diagnosi di cefalea tensiva. Può essere presente fastidio alle luci ed ai rumori.
La cefalea tensiva può esser definita cronica quando gli episodi sono maggiori di 15 al mese, in caso contrario viene definita episodica.
L’EMICRANIA si distingue in due tipologie, quella con AURA e quella SENZA AURA. L’aura consiste in una serie di sintomi, prevalentemente visivi, ma anche di tipo sensoriale, motorio o linguistico che scompaiono circa in un’ora lasciando spazio all’insorgere del mal di testa.
Il dolore è di intensità medio-forte, generalmente unilaterale, pulsante ma a volte anche costrittivo. Più il bambino è piccolo e più è raro che il dolore sia unilaterale. Spesso il dolore è accompagnato da nausea o vomito, fotofobia e fonofobia.
COME INTERVENIRE:
Per prima cosa è necessario escludere la presenza di una causa organica che giustifica l’insorgenza del disturbo quindi è importante rivolgersi ad uno specialista che attraverso la storia clinica, l’esame obiettivo e neurologico possa effettuare una diagnosi accurata e precisa.
Una volta esclusi fattori organici come causa scatenante del sintomo è importante indagare i fattori psicologici che possono essere implicati nello sviluppo delle crisi.
Sono ANSIA e DEPRESSIONE ad essere maggiormente associati a questa tipologia di disturbo a seguito di problematiche presenti in diversi ambiti come quello scolastico, familiare e di socializzazione.
Conflitti o tensioni all’interno del contesto familiare, difficoltà di socializzazione con il gruppo dei pari, scarso rendimento scolastico o eccessiva competitività ed infine, problematiche psicologiche concomitanti (tic, balbuzie, enuresi, disturbi del sonno o alimentari, ecc.) possono essere la causa o la conseguenza delle crisi cefalalgiche.
Risulta quindi estremamente importante la programmazione di una valutazione psicologico-clinica al fine di evitare la cronicizzazione del disturbo e di aiutare il bambino a superare il momento di difficoltà.
A cura della Dott.ssa Irene Agostini
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Cerutti, V. Guidetti, 2007, “Psicosomatica in età evolutiva”, Ed. Il Pensiero Scientifico Editore
Un no pronunciato con convinzione è molto migliore di un si pronunciato unicamente per compiacere, o ancora peggio, per evitare problemi.”
Mahatma Gandhi
COME TI COMPORTI E CHE EMOZIONI PROVI QUANDO TI SI PRESENTANO QUESTE SITUAZIONI?
– Qualcuno ti trattiene a parlare a lungo ma tu avresti altro da fare?
– Il tuo o la tua partner ti risponde male senza motivo?
– Un tuo amico o una tua amica ti sminuisce di fronte agli altri?
– Quando stai facendo una fila e qualcuno ti passa davanti? (altro…)